ANTONIO LANZARA

Ann.Ital.Chir 1998;Vol. 69/1 – pag. 133-136
Ricordo di Ivo Bifani

II 18 Aprile si è spento a Roma il Prof. Antonio Lanzara, una delle ultime figure di grande Maestro della Chirurgia Universitaria Italiana.
Piangerne la scomparsa, comporta rivivere una serie infinita di fatti, lieti e meno lieti, evocare immagini di un’epoca che è finita, come l’Uomo che non sarà più con noi, entrato com’è in un’altra dimensione, quella del ricordo.
Il triste compito di ricordarlo oggi, tocca per tradizione a me, il più vecchio Allievo della Scuola da Lui creata, trasmettendo uno stile che Lui, protagonista, ha intensamente applicato.
Una volta, parlando di Valdoni mi disse: “la storia di un Maestro si scrive sugli allievi”; sono parole da meditare, che caricano di responsabilità tutti gli Allievi, ma in particolare quelli ancora attivi.

Quando muore il Maestro si porta appresso anche un pezzo di noi, dell’immagine che abbiamo di noi e che Lui rifletteva. L’immagine Sua ci resta, quel piccolo pezzo di noi – invece — scompare per sempre.
In questo momento mi sembra di vederlo qui, nel pieno vigore della Sua potenza creativa, con la Sua lucidità sferzante, caratteristiche ben note ad amici e meno amici. Lo vedo anche assistere — con silenzioso distacco — al malinconico tramonto della stagione universitaria quale noi la intendevamo.

Era nato a Firenze il 20 Marzo 1914. Conseguita la maturità nel prestigioso liceo classico Parini di Milano (di tale derivazione era orgoglioso) si iscrisse nel 1931 alla Facoltà Medica di Milano passando già nel 1932 a quella di Roma, ove conseguì la laurea nel Luglio 1937. Discusse una tesi assegnata dal Prof. Alessandri e seguita dall’allora Aiuto Prof. Valdoni, dal titolo: “Diffusione locale del cancro del retto”. Fu giudicata meritevole del 110 e lode e della proposta a concorrere al Premio Guglielmi. Fu abilitato all’esercizio della professione con il massimo punteggio e la lode.
Durante gli studi universitari era stato interno negli Istituti di Anatomia Umana di Milano, di Anatomia Comparata e di Clinica Chirurgica di Roma, dimostrandosi sempre l’allievo brillante che risulta dagli attestati dei Direttori di Istituto.
Subito dopo la laurea fu accolto nella Clinica Chirurgia di Roma come Assistente Volontario. Svolgendo tale attività, partecipò presto a due importanti concorsi: quello, allora nazionale, per Assistente Universitario di Ruolo in Chirurgia, risultando vincitore, ed al concorso per Assistente Effettivo degli Ospedali Riuniti di Roma, ove si classificò primo nella graduatoria degli 81 vincitori. Nel 1939 fu pertanto nominato assistente nel prestigioso reparto chirurgico dell’Ospedale Santo Spirito, retto dal Prof. Egidi.

Nello stesso anno, con l’andata a riposo di Alessandri, l’incarico a Cagliari per Valdoni, il primariato dell’Aquila per Stefanini, si disperdeva la Scuola della Clinica Chirurgica romana.
Lanzara andò ad occupare il posto di Assistente Ordinario nell’Istituto di Patologia Chirurgica di Napoli, diretto da Dominici, allievo di Alessandri. Questo ruolo ricoprì formalmente fino al 1947, quando si rese libero un posto nella Patologia Chirurgica di Roma, diretta all’epoca da Valdoni, che lo volle con sé.
Durante il periodo napoletano, la Sua carriera fu sconvolta dallo scoppio della II Guerra Mondiale, che coinvolse Lanzara in molte vicende. Richiamato alle armi nel 1941, nel 1942 mobilitato sul fronte mediterraneo, nel Dicembre dello stesso anno venne destinato in zona di operazioni ed assegnato al 35° Ospedale da campo, operante nei Balcani. Qui prestò servizio come chirurgo fino al 8 settembre 1943, quando venne catturato dalle formazioni SS dell’esercito tedesco. Prigioniero di guerra in Slovenia, riuscì ad evadere I’11 novembre, rientrando fortunosamente in Italia e rimanendo “alla macchia” fino al 30 agosto 1944, data delle liberazione di Firenze ove aveva potuto ricongiungersi con l’antico Maestro Pietro Valdoni, patologo chirurgo in questa sede. Per le sue benemerenze militari fu insignito della Croce al Merito di Guerra. Delle esperienze belliche conservò sempre un vivo ricordo, di vicende, di uomini, di incongruenze.
Nel novembre 1989, in occasione di un incontro organizzato in Suo onore dagli Allievi, nel ringraziarli pronunciò queste parole: “II mio pensiero va in quest’ora anche a quelli del gruppo che mancarono lungo la strada, mietuti da una falce crudele, nonché a coloro che, medici miei compagni in una guerra inutile come tutte le guerre diverse dalla nostra, non fecero ritorno”. Dal rientro nella vita universitaria, l’attività di Ricercatore, Docente e Chirurgo, si è svolta tutta nella Scuola di Valdoni, attraverso tappe che segnano una carriera prestigiosa, culminata nel conseguimento della Cattedra. Libero Docente nel 1948, maturo in Concorsi a Cattedra nel 1949 e nel 1951. Nel 1952 venne incluso nella terna dei vincitori del concorso per la Patologia Chirurgica di Messina. Nel febbraio 1953 fu chiamato a ricoprire il ruolo di Professore Straordinario di Patologia Chirurgica a Cagliari, comandato alla Clinica Chirurgica Generale.
Apriva la lunga serie degli allievi della grande Scuola di Pietro Valdoni a raggiungere la Cattedra. Nel 1956 fu chiamato alla Patologia Chirurgica di Napoli, trasferendosi poi nel 1970 alla Seconda e nel 1971 alla Prima Clinica Chirurgica della stessa facoltà. Fuori Ruolo nel 1984, ha mantenuto la Direzione dell’Istituto di Clinica Chirurgica fino al 1989, data del collocamento a riposo. Il 10 maggio 1990 gli venne conferito il titolo di Professore Emerito di Clinica Chirurgica.
Durante la Sua vita universitaria ha diretto le Scuole di Specializzazione in Chirurgia Generale ed Urologia a Cagliari, di Chirurgia Vascolare, di Chirurgia Toracica e Chirurgia Generale a Napoli.
Membro delle più importanti Società Chirurgiche Nazionali ed Internazionali, si è lungamente dedicato alla Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli, alla quale si sentiva molto legato. Socio Corrispondente dal 1957, Ordinario dal 1963, è stato Presidente dell’Accademia di Scienze Mediche e Chirurgiche, Presidente Generale della Società.
Le Sue molteplici attività sono state premiate con le medaglie d’Oro della C.R.I. (1950), della Sanità Pubblica (1963), di quella per i benemeriti della Scuola, Cultura ed Arte (1967).
Membro della direzione scientifica di numerose riviste chirurgiche, è stato a lungo Direttore del Giornale Italiano di Chirurgia.
Posso solo accennare alla eccezionale produzione scientifica del Prof. Lanzara. Si tratta di oltre 250 pubblicazioni (su riviste nazionali ed internazionali), oltre moltissime importanti relazioni, conferenze, moderazioni e presidenze in consessi di Chirurgia.
Il Suo interesse ha spaziato su tutta la Chirurgia Generale e specialistica (Toracica, Vascolare, Urologica). Nella Sua produzione, l’indirizzo fìsiopatologico è una caratteristica frequente.
Mi limito a ricordare le ben note memorie sulle malattie funzionali dell’esofago e delle vie biliari, i contributi alla definizione delle fìstole artero-venose congenite, la descrizione della sindrome vascolare pseudoostruttiva, che porta il Suo nome.
A proposito dei prediletti studi sull’esofago, iniziati già nel 1943, mi piace ricordare che nel 1988, lo stesso Lanzara ebbe a sintetizzarli in una Sua Lettura Magistrale che volle intitolare: “Esofagologia: breve storia di una grande passione”. In questa occasione, riflettendo sulla evoluzione della chirurgia esofagea negli ultimi 50 anni, riferiva che un Maestro come Santy, in una relazione del 1951 a Parigi, citava Con apprezzamento “La ricerca di Lanzara degli anni 40”.
La mia generazione ricorda molte relazioni congressuali di Lanzara su argomenti fondamentali. Citerò almeno quelle: sul cancro dell’esofago con Valdoni (1951), sulla ipertensione portale (1954), sulle fìstole artero-venose (1961), sulla ipertensione biliare (1977).
Non posso trascurare due memorabili conferenze inaugurali al SIC, nel 1971 sull’arto post-flebitico, nel 1987 sulla formazione del Chirurgo.
In sostanza Lanzara ha portato contributi originali nello studio dei grandi temi chirurgici della Sua epoca, fonte di riferimento per chiunque ha avuto poi interessanti argomenti.
In una produzione così fervida non sono mancate le opere monografìche. Fra queste: Chirurgia Vascolare (Piccin 1968); Patologia del sistema circolatorio degli arti (Liguori 1975); La voce “Esofago” nel Trattato di Ceccarelli, le voci “Esofago” e “Vie biliari” ed “Ipertensione portale” nell’Enciclopedia Medica Italiana – USES, la voce “Trattamento della Acalasia esofagea” nella Tecnica Chirurgica di Piccin.
Personalità brillante, dotato di grande cultura e peculiari capacità didattiche ed organizzative, quando A.L. Conquistò la Cattedra, assunse presto il rango di Caposcuola di un folto gruppo di giovani che fino da Cagliari e quindi a Napoli, si sono maturati sotto la Sua guida e si sono affermati fino a raggiungere ruoli di prestigio. I traguardi della Scuola si riassumono nei numeri: 21 allievi hanno conseguito la Cattedra Universitaria di I fascia, 16 di II fascia, 15 hanno raggiunto il primariato chirurgico.
Come il più vecchio degli Allievi, sento il bisogno di completare ora con qualche ricordo che mi riguarda personalmente.
II mio incontro con A.L. è avvenuto nel 1949 quando, terminato un biennio di apprendistato medico nel VI Padiglione del Policlinico di Roma, con l’ingenuità propria della gioventù, mi presentai con il mio modesto Curriculum al Prof. Valdoni chiedendo l’onore di frequentare la sua Scuola (allora si usava e si diceva così). Non so come mai, le mie aspettative non andarono deluse e, come Assistente volontario fui assegnato al Reparto Uomini della Patologia Chirurgica, a capo del quale trovai Lanzara, che oggi mi pare di vedere così cornerà allora, molto giovane (aveva 35 anni), bruno, scattante, un po’ distaccato, che ti trapassava con i suoi occhi scuri. La sua cultura, le capacità cliniche e la cortese disponibilità ad insegnare, mi conquistarono in breve tempo. Probabilmente entrai nelle Sue simpatie, perché mi tenne con se nei vari Reparti ove ruotava come Aiuto, fino al febbraio 1953 quando, in procinto di partire alla volta di Cagliari, per assumere la Direzione della Clinica Chirurgica, mi offrì di seguirlo con il consenso di Valdoni.
Mi aprì in tal modo la possibilità di entrare fin dall’inizio nella Sua Scuola nascente.
Dalla Patologia Chirurgica di Roma partimmo in tre : Francesco Baisi, Paolo Casolo ed io. Poi, nel tempo, si sono aggiunti tanti altri amici, nei tre anni di Cagliari e quindi a Napoli.

Da allora ho sempre lavorato con Lui, senza interruzione fino al 1965, quando per merito Suo ebbi l’onore di arrivare alla Cattedra primo in ordine di tempo fra i molti Allievi che hanno poi raggiunto il traguardo. Anche da Professore ho trascorso la carriera nella Facoltà di Napoli e quindi sono rimasto a Lui vicino, avendo rapporti pressoché quotidiani.
Molte cose perciò so di Lui, grazie a questa frequentazione. Fin dalle lontane conversazioni notturne sul terrazzo della mia minuscola casa di Cagliari (la Famiglia non lo aveva ancora raggiunto in Sardegna ed il Professore talvolta si invitava alle cene sbrigativamente organizzate da mia moglie). Nel caldo umido della notte sarda mi ha raccontato tante cose. Seppi ad esempio che la scelta per la chirurgia era maturata in Lui ancora tredicenne, testimone di un grave evento morboso della giovane mamma, risolto da un provvedimento chirurgico. Fece in quella occasione una scelta che poi seppe mantenere come ebbe a scrivere una volta: “Rinunciando al richiamo affascinante delle lettere e dell’oratoria per scendere nelle nude sale anatomiche, ove i morti insegnano ai vivi, ma anche per accedere ai sacrari operatori, dove la mente e la mano soccorrono la vita, nella ricerca del modo più dignitoso per spendere la propria vita”.
Da queste parole emerge la forte figura dell’Uomo che restò per altro un umanista, che si divertiva al fatto che io ricordassi ancora a memoria qualche passo dei Lirici Greci, che Lui poteva declamare al completo.
Ricordo anche un ritorno da Barcellona, in un treno lentissimo che attraversa il Sud della Spagna (mi pare fosse nel 1966), durante il quale si accalorava perché io capissi la bellezza dei versi di Garcia Lorca.
Ricordo le tante volte che si fece accompagnare da me per i librai di Port’Alba, che ne conoscevano la competenza e gli conservavano le occasioni. Io stesso debbo a queste escursioni un certo arricchimento della mia biblioteca, avvalendomi del Suo consiglio e favorito dalla Sua perfetta conoscenza anche dei prezzi.

Anche queste cose, oltre a tante altre, mi hanno legato al Professore Lanzara per una vita.
Ho potuto, per lunga e vissuta frequentazione constatare che la natura aveva dotato Lanzara, Uomo profondamente colto per merito Suo, di una memoria prodigiosa e di una vivida intelligenza tanto più positiva perché caratterizzata da una rapida capacità critica e di sintesi. Queste doti, evidentemente, ne fecero un didatta particolarmente efficace.
Le lezioni dei Suoi corsi universitari, che mai demandava ad altri, erano una sintesi completa ed aggiornata degli argomenti trattati. I contenuti, espressi con l’oratoria che ha sempre caratterizzato ogni Suo intervento, rendevano le lezioni veramente magistrali e chiare, per gli studenti (quelli preparati) e per noi.
E’ stato il vero Maestro della Sua epoca, che interpretava il compito con dedizione, precisione ed efficacia. Agli Studenti ha dato molto e molto da loro pretendeva in attenzione e preparazione. Le sedute di esami – sempre svolte in prima persona — erano cose molto serie e gli studenti lo sapevano e si adeguavano.
Certo – com’è abituale – qualcuno bofonchiava, ma molti sono i medici che ho incontrato nel tempo, che lo ricordano con ammirazione e si riconoscono a Lui debitori della propria cultura.
A proposito delle Sue lezioni — permettetemi di ricordare il titolo della prima (Cagliari 1953) “il bilancio idroelettrolitico e proteico nel paziente chirurgico” e dell’ultima (Napoli 1984) “Lo shock in chirurgia”.
Lanzara Caposcuola, ha avuto la capacità di far emergere le migliori qualità nei Suoi collaboratori, ai quali ha sempre chiesto molto, come del resto molto chiedeva a Se stesso.

Lanzara Chirurgo, diagnosta eccellente, tecnico preciso, operatore instancabile e veloce, ha praticato tutta la chirurgia della Sua epoca, generale, toracica, vascolare ed all’inizio anche cardiaca.
A mio parere possedeva una dote particolare: sapeva frenare la naturale irruenza con la freddezza del ragionamento ed era un prezioso didatta anche sul campo operatorio. Mentre infatti operava, parlava molto con i collaboratori, spiegando in pratica ciò che faceva, magari per dimostrare la loro scarsa attitudine a capire. Talvolta sprezzante, conservava però sempre uno stile corretto nei termini ed appena fuori della sala operatoria tornava l’Uomo cortese di sempre. Capitava, vedendo qualcuno un po’ scosso e frastornato dal lungo lavaggio del cervello, di sentirgli dire che “le persone stimate vanno stimolate”.

Era un Uomo leale, di un’onestà cristallina, ma devo riconoscere che il Suo rapporto con gli altri è stato spesso duro, perché convinto delle Sue ragioni non è mai stato disponibile a compromessi, neanche per trame interesse personale. Questo non gli ha facilitato i rapporti nell’ambiente universitario, dove la fermezza nei principi ed un carattere fortemente combattivo, hanno in alcune occasioni creato incomprensioni: gli eventi della nostra Facoltà, in anni lontani, non potevano non stimolare le reazioni di un Uomo così fatto. Nel periodo seguente i moti universitari del 1968 (che un Amico ha definito il periodo “della restaurazione”) quando il nuovo policlinico, con abile e discutibile manovra, fu attribuito alla Facoltà di nuova Istituzione, Lanzara fu tra i pochi che si oppose apertamente — quanto inutilmente — al potere (baronale) che premiava i fedeli e puniva i non allineati. Non intendo certo soffermarmi in argomento, voglio solo testimoniare quanto quegli eventi incisero sull’Uomo e lo portarono ad isolarsi.

Ho vissuto- gran parte della vita vicino ad A.L., subendone il fascino ed onorandomi della Sua amicizia.
Certo, abbiamo avuto qualche inevitabile dissenso, come è normale che avvenga “in famiglia”, sempre per diversità di giudizio su alcune persone. Anche in questi casi mi consentiva di dire la mia, sempre, commentando irritato che quando mi mettevo in testa un’idea era inutile cercare di farmela cambiare. Poi, ciascuno di noi rimaneva della propria opinione, senza minimamente incrinare un rapporto – posso dire affettuoso – durato una vita.

Antonio Lanzara, pur diverso di carattere dal Suo Maestro, è stato il degno Allievo della Scuola di Pietro Valdoni, che ha rappresentato un fenomeno di vita universitaria particolare ed irripetibile, poco comprensibile per chi non l’ha vissuta. Io ne conservo un vivido ricordo ed anche questo mi univa a Lanzara.
Quando nel 1992 Gli scrissi le mie impressioni sul Suo recente articolo “Ricordo di Pietro Valdoni” mi rispose così: “Ho tanto apprezzato il tuo giudizio, proprio perché mi viene da chi ha vissuto con me quell’epoca che, bella o meno bella, ha certamente per noi ancora il fascino di un’epopea”.
La suprema illusione dell’uomo è la convinzione di “poter fare”. Ma a pensarci bene nessuno in realtà può “fare” qualcosa. Tutto accade.

A me è accaduto di incontrare Antonio Lanzara e di ciò ringrazio la sorte.