ACHILLE MARIO DOGLIOTTI

Ann.Ital.Chir 1995;Vol. 66/2 – pag. 295-296
Ricordo di Francesco Morino

Nato a Torino il 25 settembre 1897 crebbe in Alba, ridente città espressione delle più tenaci tradizioni piemontesi. Dal padre medico e sindaco di Alba, morto in giovane età, attinse la vocazione per là mediana e dalla madre il senso del dovere. Nell’«opera di A.M. Dogliotti,, edita dagli Allievi per i suoi 25 anni di cattedra, (alla quale si riferiscono tutti i brani qui integralmente riportati), è scritto «Più volte ci ha parlato, con viva commozione, del piccolo portaritratti che la Mamma gli diede in partenza per la campagna di guerra in Russia. Su di esso aveva scritto: «II ricordo di tuo padre, l’esempio di tuo fratello (caduto valoroso ufficiale alpino nella guerra (1915-18), e l’affetto di tua madre ti portino fortuna di un felice ritorno dopo aver compiuto nobilmente il tuo dovere».

E soprattutto in quel «dopo» egli vedeva tutta la grandezza spirituale di una esemplare Madre italiana».
La sua iscrizione alla facoltà medica di Torino avvenne nel 1914, mentre iniziava la I guerra mondiale. Fu tra i primi ad accorrere come volontario quale aspirante Ufficiale Medico e fu decorato con due croci di guerra.
Ripresi gli studi, ottenne la laurea nel 1920 con una tesi «Splenectomia nell’utero emolitico». Appena laureato entrò nell’Istituto di Patologia Chirurgica dell’Università di Torino diretto dal Prof. Onorino Uffreduzzi.
All’inizio della carriera, per parecchi anni fu interno nella Clinica: al lavoro clinico espletato nelle ore diurne si affiancava la chinirgia sperimentale nelle ore serali, spesso sino a tarda notte, ma egli sapeva trovare il tempo anche per lo sport preferito, la scherma, tanto da divenire più volte campione di fioretto vincendo numerose competizioni internazionali.
Sono di questi primi anni i suoi lavori sperimentali sullo shock traumatico, sulla vascolarizzazione del rene, sulla trasfusione del sangue. Già negli anni ’20 tentò la cura dei tumori maligni incannulando l’arteria afferente ed iniettando sostanze medicamentose. Ma la prima ondata di notorietà estesa sino agli Stati Uniti la trovò perfezionando e creando alcuni metodi originali per il trattamento del dolore: il blocco alcoolico sottoracnoideo delle radici posteriori per il trattamento delle algie ribelli ed il metodo di anestesia peridurale segmentarla vennero adottati in ogni Paese ed ancora oggi trovano larga indicazione.

Negli anni ’30 i suoi studi furono concentrati su problemi neurochirurgici e largo successo ottennero alcune sue tecniche, quali la ventricolo puntura per via transorbitale, la sezione della via spinotalamica del dolore a livello del fusto cerebrale ed il drenaggio permanente del liquido cefalorachideo.

Nel 1935 vinse la cattedra di Patologia Chirurgica dell’Università di Modena. Nei due anni della sua permanenza in questa sede attuò arditi interventi di neurochirurgia, che spesso rappresentavano delle prime assolute.

Vincitore nel 1937 del concorsa per la Cattedra di Clinica Chirurgica di Catania, ultimò la nuova Clinica Chirurgica che il mo predecessore, Prof. Muscatello, aveva appena iniziato.

In questa sede esplose la sua attività di avanguardia in ogni settore della Chirurgia Generale. Accanto alla chirurgia classica affrontò dei settori altrove specializzati, eseguendo interventi di ortopedia, di neurochirurgia, di urologia e vascolari. Era suo vanto la statistica di 25 laringectomie totali consecutive senza decessi, prima dell’era antibiotica.

La li guerra mondiale lo vide ancora una volta volontario: nel 1942 chiese, con il Prof. Uffreduzzi e Fasiani, di essere inviato quale consulente di armata al seguito del corpo di spedizione italiana in Russia. Anche qui rivelò tutto il suo spirito organizzativo, creando il grande centro chirurgico italiano di Voroscilovgrad.

Rientrato a Catania, riprese la direzione della Clinica, mentre cominciava il periodo più rovinoso per la Patria: continui bombardamenti costrinsero l’attività chirurgica nelle caverne del sottosuolo lavico.

La morte improvvisa per incidente stradale avvenuta il 14 aprile 1944 del Suo Maestro, Prof. Uffreduzzi, determinò il suo trasferimento alla Cattedra di Torino.

Assunta la direzione della Clinica Chirurgica nell’estate del 1943, si trovò «tra rovine di ogni genere». In quegli anni, impedita qualsiasi possibilità di ricerca scientifica, Dogliotti divise il suo tempo tra l’attività clinica e la stesura del grande trattato di Tecnica Operatoria, che doveva rappresentare un trattato di Scuola, basandosi unicamente sull’esperienza chirurgica torinese.

In pochi anni vide la luce questa poderosa opera, che per decenni rappresentò il testo fondamentale per la preparazione dì intere generazioni di chirurghi.

Poco dopo Dogliotti pubblicava il Manuale di Semeiotica e Diagnostica Chirurgica, testo in due volumi di estrema, avanguardia.
Terminata la guerra, Dogliotti si dedicò alla ricostruzione della Clinica Chirurgica portandovi innovazioni ed ampliamenti tali «da farne esempio tra i più importanti di Europa».

Pochi mesi dopo la fine della guerra, invitato negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze, ebbe modo di incontrare a Baltimora il grande Maestro della cardiochirurgia americana, Alfred Blalock. Da questo incontro ebbe inizio la sua passione per la cardiochirurgia, intraprendendo per primo in Italia questa nuova specialità: furono anni intensi «Notti insonni, preoccupazioni forse mai provate, scrupoli di coscienza, cocenti delusioni che si alternavano ai primi risultati felici, fu tutto un accendersi di emozioni lungo il duro cammino che ha portato il nostro Maestro ad essere oggi considerato fra i più originali e fecondi costruttori della branca chirurgica che ha maggiormente emozionato l’opinione pubblica del mondo intero».

Il suo nome e strettamente legato a numerose e fondamentali tappe della moderna chirurgia cardiaca: basterà ricordare che nell’agosto 1951 per la prima volta nella storia della chirurgia operò un paziente in circolazione extracorporea totale.
Ideò nuovi strumenti e propose nuovi procedimenti tecnici: tra questi l’anello valvulotomo per la commissurotomia mitralica e la pinza per l’anastomosi aorta-polmonare.

L’affermazione del suo Centro di Cardiochirurgia fu tale che ad esso afferirono ammalati da tutto il bacino mediterraneo.
Avendo a disposizione una Clinica Chirurgica con oltre duecento letti, con sei sale operatorie contemporaneamente funzionanti ogni giorno, potè dare impulsi ad altri settori della chirurgia, creando un Centro di Endocrinochirurgia, ove profonde innovazioni vennero portate nel trattamento di alcune forme tumorali mediante ipofisectomia e surrenectomia bilaterale.

Nuovi interventi Dogliotti propose anche in altri campi; basterà ricordare come per primo al mondo abbia proposto l’intraepato-dotto-gastrostomia, che a lungo rappresentò l’estremo limite per assicurare il drenaggio biliare, dando una possibilità di salvezza a casi altrimenti privi di soluzione.

Ampio successo ebbe la tecnica di colonesofagoplastica da lui sintetizzata ed applicata in un alto numero di pazienti.
La terapia del dolore, da lui iniziata in giovane età, lo portò a raccogliere la più grande statistica del mondo di nevralgie del trigemino felicemente trattate, con un procedimento personale di alcoolizzazione che nelle sue mani appariva di estrema semplicità: i casi operati furono oltre seimila.
Egli fu indubbiamente l’ultimo clinico e chirurgo veramente «generale». Ne fanno fede gli studi e gli interventi eseguiti che spaziarono dalla neurochirurgia alla chirurgia cardiaca, dall’anestesia alla terapia del dolore, dalla chirurgia toracica a quella addominale, dall’urologia all’ortopedia.
La sua figura di professore universitario non e certo meno poliedrica: infatti per primo creo in Italia le Scuole di Specializzazione in anestesiologia, in cardiochirurgia ed in chirurgia plastica.

Egli fu contemporaneamente direttore di ben cinque scuole di specializzazione (Chirurgia Generale, Chirurgia Cardiovascolare, Chirurgia Plastica, Neurochirurgia, Urologia). Alcune di queste per molti anni crearono tutti gli specialisti italiani.
Anche in numerosi altri campi egli fu precursore: fin dal 1930 sostenne la necessità della creazione di servizi indipendenti di anestesia ed il suo trattato di anestesia ebbe il raro onore dell’adozione come testo negli Stati Uniti.
Per primo propugnò la creazione delle banche del sangue e fu presidente delle associazioni trasfusionali, ideando egli stesso un nuovo apparecchio per la trasfusione di sangue intero.

A lui si deve altresì l’utilizzo per la prima volta in campo mondiale del trattamento dei tumori maligni mediante la introduzione di sostanze radioattive nell’arteria afferente dell’organo e mediante ipertermia con circolazioni distrettuali.
Per completare la personalità di A.M. Dogliotti bisogna anche ricordare come il suo grande personale prestigio gli abbia permesso di portare alla cattedra numerosi allievi che occuparono prestigiose sedi (Cagliari, Ferrara, Genova, Milano, Parma, Torino): Luigi Eiancalana, Edmondo Malan, Aldo Costantini, Antonio Bobbio, Mario Battezzati, Antonio Ruffa, Francesco Marino, Sergio Abeatici.

L’attività didattica di A.M. Dogliotti prese particolare rilievo con la sua espansione all’estero, sigiando con il Governo della Liberìa la fondazione della «Monrovia, Torino Medicai School». Questa Scuola acquistò grande importanza nel cuore dell’Africa Equatoriale ed il suo nome venne poi modificato in «Monrovia Dogliotti Medicai School».

Impossibile ricordare tutte le cariche direttive ricoperte da Dogliotti. Egli e stato: Presidente onorario della Società Italiana di Anestesiologia, Vice Presidente della Società Internazionale di Anestesiologia, primo Presidente italiano della Società Internazionale di Chirurgia cardio-vascolare, primo Presidente del Collegio Internazionale dei chirurghi, Presidente due volte (onore insolito data la consuetudine di rotazione biennale) della Società Italiana di Chirurgia.

Dal 1948 ha ordinato e diretto in veste di Presidente del Comitato Generale le «Riunioni medico-chirurgiche internazionali» e le «Mostre internazionali delle Arti sanitarie» di Torino che con ritmo triennale conobbero successo crescente, fino all’edizione del 1961 che comprese 60 congressi nazionali ed intemazionali con la partecipazione di circa 10.000 congressisti. Manifestazione sicuramente senza pari per la sua complessità ed il suo carattere di «incontro» internazionale tra cultori di ogni disciplina.

Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e di quello della Sanità, per vari anni Presidente dell’Associazione nazionali dei chirurghi ospedalieri (ANCO) ottenendo in trattative ad alto livello, grazie al proprio prestìgio, importanti riconoscimenti e riforme in campo professionale e sindacale.

Nominato infine Presidente del Comitato Ordinatore delle Celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia preparò il programma che doveva realizzarsi nel 1961 per celebrare in misura imponente la grande solennità nazionale di Torino, rinnovando i fasti dell’Esposizione Internazionale del 1911.
Decorato di due croci di guerra, consulente chirurgo di Armata, ha creato un mirabile nucleo chirurgico mobile adottato dall’Esercito Italiano, destinato al pronto soccorso non solo in tempo di guerra.

Tra le numerose onoreficenze di cui è stato insignito, ricordiamo: Grand’Uff. della Repubblica Italiana, Cav. di Gr. Croce dell’Ordine di S. Sili/estro, Officiar de la Legion d’Honneur, Ordine civile di Savoia, Gran Croce con placca dell’Ordine di Malta, Medaglia d’oro dei Ministeri della Pubblica Istruzione e della Sanità, membro d’onore dell’Accademia delle Scienze mediche dell’URSS, dottore honoris causa dell’Università di Briancon e di Strasburgo, cittadino d’onore di Winnipeg, ecc.
Dopo circa otto mesi di malattia, il 2 giugno 1965 A.M. Doliotti decedeva, dimostrando di saper affrontare con grandezza d’animo anche quest’ultima tappa detta sua vita.

Città di Torino, riconoscendolo come uno dei suoi figli più illustri lo volle nel Famedio, accanto alle spoglie dei grandi del Risorgimento.
La sua fama superò la soglia della morte tanto che nel 1990 (nel venticinquesimo anniversario della scomparsa) Torino gli dedicò il grande corso su cui sorge la Clinica Chirurgica dell’Università da lui creata e portata a livelli internazionali mai prima raggiunti.